In piazza contro la violenza di genere
Mercoledì 22 novembre, di fronte all’ennesimo femminicidio che questa volta ha visto vittima Giulia Cecchettin, l’Università di Macerata ha organizzato una fiaccolata e un momento di raccoglimento, iniziato con un minuto di silenzio e conclusosi con uno di rumore, per esprimere la propria vicinanza alla famiglia della ragazza e alla comunità dell’Università di Padova. Sulla scia degli eventi, giovedì 23 le strade della città hanno accolto il “Corteo arrabbiato” organizzato dai rappresentanti degli studenti di Officina Universitaria. Un corteo nato dall’esigenza di incanalare la rabbia di una intera comunità che in questi giorni si stringe compatta, si supporta e fa rumore al grido di “Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”.
In Italia, secondo i dati raccolti dall’Istat, quasi sette milioni di donne hanno subìto nel corso della loro vita maltrattamenti e violenze fisiche, sessuali, psicologiche o economiche. Secondo l’ONU, la violenza sulle donne nel mondo è ancora la prima causa di morte tra le donne in età riproduttiva.
Siamo arrabbiate e arrabbiati. Ora più che mai, da giovani studentesse e studenti universitari, vogliamo urlare e condannare qualsiasi forma di oppressione, legittimazione di potere e violenza. Giulia potevamo essere noi.
Di seguito il comunicato congiunto del Consiglio degli Studenti letto durante la fiaccolata.
Lucrezia Cinella, vicepresidente del Consiglio degli Studenti:
«Questo non sarà l’ennesimo comunicato pieno di cordoglio, dispiacere e stupore per una morte già annunciata. Non può esserlo perché ogni qual volta una donna sparisce, o viene trovata uccisa il pensiero è sempre lo stesso, e sempre si dimostra vero: è stato un uomo. Non un mostro, come tante volte viene dipinto dall’opinione pubblica e da altri uomini, ma un uomo. Lo si definisce mostro perché in questo modo ci si sente deresponsabilizzati, lo si tratta come un qualcosa di eccezionale e al di fuori della ragione, per poi finire con “non è un uomo, io non farei mai una cosa del genere”. Ma mentre si usa tutto l’impegno e la forza per dire “io non sono come lui”, due giorni fa a Fano è morta Rita Talamelli un’altra donna, l’ennesima, e sempre per mano di un uomo. Chiediamo di astenersi dal commento futile sulla vicenda a tutti coloro che cerchino giustificazioni o assoluzioni di responsabilità: il diritto di parola non è diritto di violenza attraverso le parole. Le terribili parole che si continuano a sentire, soprattutto da parte di uomini, che mirano alla assoluzione di se stessi è tribuna politica, è assenza di spirito critico, è immaturità, è violenza. La responsabilità dei singoli è responsabilità collettiva e chiunque cerchi di smorzare la portata rivoluzionaria della lotta di Elena Cecchettin e di tutte noi che urliamo “se domani sono io voglio essere l’ultima”, è nostro nemico, è nemico del mondo nuovo, ma soprattutto nemico di se stesso. La lotta di Elena è la lotta di tutti noi, è lotta di civiltà. Il contesto attuale e le istituzioni sembrano non voler essere parte di questo cambiamento, e questo è sotto gli occhi di tutti.
Quando un ministro al posto di condannare un uomo si chiede se esso sia effettivamente colpevole solo perché bianco,” bravo ragazzo” e appartenente ad una buona famiglia: quella è violenza. Quando i media e l’opinione pubblica si concentrano sullo stato psicologico e la lucidità di Elena, che denuncia tutto ciò che non va bene in modo impeccabile, anche quella è violenza. Fino a quando in consiglio comunale verranno bocciate proposte riguardo la violenza di genere e il Comune non deciderà di entrare positivamente nella programmazione dell’offerta formativa
scolastica, anche quella è violenza. Fino a quando si continuerà a dire che devono essere le donne a riconoscere i comportamenti tossici degli uomini e a stare attente a chi frequentano: anche quella è violenza. Fino a quando non si interverrà strutturalmente sull’educazione affettiva e sessuale e non si educherà alla cultura del consenso, del rispetto e del dialogo sin dall’infanzia ci sarà sempre un’altra Giulia Donato, Martina Scialdone, Oriana Brunelli.
Fino a quando la narrazione sarà quella del mostro, e non sarà chiaro che chi commette questi femminicidi è un uomo come un altro, ci sarà sempre un’altra Melina Marino, Santa Castorina e Yana Malayko. Fino a quando ogni uomo non userà la forza che ha per cambiare questo sistema che opprime tutti e tutte ci sarà un’altra Iulia Astafieya, Rossella Magi, Pierpaola Romano e tutte le 106 vittime di femminicidio registrate in Italia solo nel 2023».
Dario D’Urso, presidente del Consiglio degli Studenti:
«Mentre noi uomini cerchiamo di differenziarci, le donne continuano a morire. Mentre ci sentiamo attaccati dalla rabbia che in questi giorni divampa, c’è qualcuno che la violenza continua a subirla. La violenza fisica e il femminicidio sono soltanto la punta dell’iceberg, e parte finale di un sistema radicato fermamente nella società, di una cultura che non ha più ormai alcun limite, dominata dal potere dell’uomo sulla donna riscontrabile nella quotidianità. Una cultura che ci dà un apparente senso di libertà totale sulle cose e soprattutto sulle donne, basata ancora oggi sull’oggettificazione della figura femminile. Io che sto leggendo questo comunicato, in quanto uomo, sono corresponsabile e beneficiario del sistema patriarcale, e non devo pensare a dire “Io non sono come lui”, ma ANZI dovrei fermarmi a riflettere su cosa c’è di Filippo Turetta in me?».